La lavorazione della rāfia nell'isola d'Ischia

La lavorazione della rāfia nell'isola d'Ischia

Sono innumerevoli i materiali di origine vegetale che si prestano all'intreccio: la natura da sempre li offre e l'uomo fin dagli albori della civiltà li utilizza. L'uomo non a caso, sia ben chiaro, sceglie in modo determinato dalla abbondanza di materiale, dalla facilità di lavorazione e dalla resistenza all'uso. Sulla terra vi sono fasce climatiche diverse, e quindi la vegetazione e la flora sono diverse, inoltre in una stessa regione possiamo trovare zone montane, zone collinari, zone pianeggianti e zone lagunari: zone differenti con una vegetazione differenziata e, di conseguenza, diversi i materiali impiegati per l'intreccio. Anche le tecniche di lavorazione variano da zona a zona; infatti esse vengono arricchite dalla creatività e dall'estro individuale per essere poi perfezionate con il passare del tempo. L'acquisizione della tecnica dell'intreccio, in genere, veniva trasmessa dagli anziani ai giovani e da questi ai loro figli, così di generazione in generazione veniva tramandato e custodito un patrimonio di conoscenze enorme. Gli anziani trasmettevano ai figli tutte le tecniche di lavorazione, anche quelle più segrete in modo che essi imparassero quest'arte perfettamente. Insegnavano, cioè, quelli che erano considerati i "trucchi del mestiere". Nell'ambito delle tradizioni popolari contadine, quanto ora detto accadeva, fino a un recente passato, anche nell'isola d'Ischia. Qui venivano utilizzati quasi esclusivamente materiali derivati da piante isolane, tranne due eccezioni: esse erano il giunco, che nell'isola veniva importato dalla terra ferma e la rafia che veniva importata dall'Africa. Tra le piante coltivate c'era una cultivar di grano molto particolare chiamata "Carosella", che veniva coltivata nelle zone alte dell'isola, nei comuni di Serrara Fontana e Barano, per le sue buone qualità di produttività e resistenza alle malattie e in più da essa si ricavava della paglia particolarmente flessibile ed elastica che ne consentiva l'impiego nell'arte dell'intreccio. Si ricavavano cappelli, cestini, ventagli, borse ecc.

Erano per lo più le donne e i bambini che eseguivano questo lavoro quando erano liberi da altri impegni nei campi o nelle faccende domestiche. Con le loro abili mani realizzavano gli oggetti e dalla vendita si ricavava un reddito che faceva comodo alla economia domestica. Intorno al 1950 ci fu nell'isola d'Ischia una trasformazione radicale dell'economia dovuta alla valorizzazione turistica dell'isola. Il turismo divenne un fenomeno di massa e moltissimi furono gli isolani che abbandonarono i campi passando a lavorare negli alberghi, nei bar e nei ristoranti. Qui il lavoro era meno gravoso e soprattutto più redditizio. I contadini diventavano sempre meno e i terreni abbandonati sempre di più. Fu così che scomparvero le coltivazioni di grano e di conseguenza la paglia con la quale si costruivano numerosi oggetti di artigianato. Venendo meno la paglia si passò ad utilizzare la ràfia e con essa un nuovo tipo di lavorazione. La ràfia è un prodotto naturale di origine vegetale, per le sue caratteristiche viene utilizzata in agricoltura per legare le piante ai tutori, per avvolgere gli innesti ecc.; per la costruzione di corde, reti, tele da imballaggio, infine per lavori di intreccio e rivestimento nella produzione di vari oggetti utili. Questo tipo di materiale si ricava da una palma, la Raphia ruffia Mart., che cresce in ambienti caldi del Madagascar e della costa orientale africana. è una specie monocarpica e fruttifica quando ha raggiunto 40-50 anni di età. Ha uno stipite robusto alto fino a 10 m con foglie lunghe da 12 a 16 m. La parte che viene commercializzata con il nome di ràfia è costituita dall'epidermide inferiore della foglia; essa viene staccata per intero e messa ad essiccare; successivamente viene confezionata in grosse trecce e commercializzata. Molte specie del genere Raphia sono comunemente utilizzate nei paesi di origine per vari scopi: dalla loro linfa si ricava il vino di palma, dai frutti farina e avorio vegetale. Per quanto concerne quest'ultimo è utile menzionare anche altre due specie: Hyphaene thebaica Mart. e Phytelephas macrocarpa Ruiz & Pav.

Tale prodotto si ricava dai semi che a maturazione diventano durissimi. I semi di queste specie possono essere lavorati e colorati in vario modo e da essi si ricavano statuine, bottoni, collane ecc. In alcuni comuni dell'isola d'Ischia, in modo particolare Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio, vi sono alcuni nuclei familiari che lavorano e intrecciano la ràfía in modo artigianale, riuscendo a realizzare vari oggetti utili come cestini, ventagli, borse, cappelli ecc. Per la realizzazione di questi oggetti alcune persone utilizzano anche la ràfia artificiale, quella di plastica per intenderci, ma chiaramente in questo tipo di lavorazione è il prodotto naturale di origine vegetale che predomina. La realizzazione di questi oggetti non è solo, come può sembrare a prima vista, il risultato dell'applicazione delle antiche tecniche dell'arte dell'intreccio: è piuttosto un connubio tra questo tipo di arte e quella del "Macramè", l'arte dei nodi, originaria dell'Oriente. Il macramè fu importato e diffuso dai Mori in Spagna e dai Crociati in Italia. Si diffuse molto in epoche passate quando erano di moda pizzi e merletti, ricavati impiegando cotone, lino, canapa, lana, e usati per ornamenti pregiati o necessari come l'abbigliamento. Successivamente questa tecnica venne estesa con l'utilizzo di altri materiali come yuta, sisal, cuoio, ràfia, filati misti di fibre naturali e sintetiche, per la creazione di oggetti destinati ad altri usi. Le forme degli oggetti vengono realizzate con dei fili di ferro, su di esse si lavora e si intreccia la ràfia. La tecnica, l'estro e la fantasia individuale fa di ogni singolo oggetto un pezzo unico, autentico capolavoro dell'artigianato locale. è interessante notare come nell'isola d'Ischia si sia creata questa originale associazione tra un prodotto di importazione di origine africana, una tecnica di lavorazione (il macramè) di origine orientale e l'antica e tradizionale arte dell'intreccio ischitana. Questa mescolanza affidata alle abili mani di alcune donne isolane dà, come risultato, la realizzazione di oggetti artigianali belli da vedere, curati nei dettagli, utili, solidi e resistenti e per di più ricavati con un prodotto naturale di origine vegetale. Purtroppo questo tipo di lavorazione molto probabilmente è destinato a scomparire poiché non vi sono giovani che apprendono quest'arte; c'è quindi il rischio concreto che la lavorazione artigianale della ràfia scompaia definitivamente dall'isola e con essa un intero patrimonio di conoscenze. Tutto questo è destinato a morire insieme alle poche signore anziane che custodiscono ancora le tecniche di quest'arte. Credo che, con un minimo di impegno sociale, culturale e politico, le autorità potrebbero organizzare ed incentivare dei corsi di preparazione alla lavorazione artigianale della rafia. Si potrebbe agire all'interno delle scuole medie o in associazioni culturali, in modo da invogliare i giovani ad apprendere questa nobile arte, prima che essa scompaia definitivamente. In questo modo si salverebbe un pezzettino del passato culturale dell'isola d'Ischia, salvaguardando quelle che sono le tradizioni popolari isolane.

Gioacchino Vallariello, La Rassegna di Ischia - www.larassegnadischia.it

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